La croce e l'alambicco



In un articolo del 23 Gennaio su la Repubblica, lo scrittore inglese Ian McEwan ci spiega come la libertà di parola sia l'elemento fondante della società democratica, l'elemento, cioè, da cui tutte le altre libertà derivano, garante della coesistenza multietnica oggi indispensabile. L'autore si rivolge in buona sostanza ai regimi religiosi affermando che

La libertà di parola non è il nemico della religione, è il suo nume tutelare. È grazie alla sua presenza che Parigi Londra e New York sono piene di moschee. A Riyadh, dove è assente, le chiese sono vietate. Oggi come oggi chi importa una Bibbia lì rischia la pena di morte.
Poco su cui discutere.

Ma non è il senso dell'articolo ciò che mi ha fatto riflettere, quanto un passaggio iniziale in cui, in senso lato, sono i singoli riti religiosi stessi ad essere definiti atti di "blasfemia" contro gli altri riti:

Gesù è il figlio di Dio? Non per i musulmani. Maometto è l'ultimo messaggero di Dio sulla terra? Non per i cristiani. l'universo si può spiegare o esplorare meglio secondo la cosmologia basata sulla fisica, lasciando Dio da parte? Non per i musulmani o i cristiani.

Senza concentrarci sui termini, sul concetto specifico e sul suo significato, l'assimilazione del pensiero scientifico al rito religioso è non solo risibile, ma totalmente fuori contesto.

Come fuori contesto sono quei tentativi più recenti di definire compatibili scienza e religione riconoscendone le possibilità di convivenza: è grosso modo lo stesso concetto che definire "compatibili" la matematica e lo studio del greco antico, o la pratica dello yoga e la cucina macrobiotica. Sono due cose diverse, orientate a diversi scopi e con diverse modalità di esercizio: la religione non spiega perché la mela che si stacca dall'albero cade sempre verso il basso, semplicemente perché non è negli scopi della stessa; analogamente la scienza non ricerca la possibilità di esistenza al di là della vita terrena, perché non è un fenomeno osservabile e dunque non è di suo interesse discuterne. Non si tratta di superiorità dell'una nei confronti dell'altra, ma di profonda differenza.

L'assenza di dogmi, la dipendenza da riproducibilità e dimostrazione dei propri teoremi, la necessità stessa di mettere in discussione gli stessi sono al tempo stesso la garanzia e la dimostrazione della libertà legata al pensiero scientifico. Non può esserci esclusività in quanto fa la scienza, le sue leggi sono inclusive, vanno a spiegare non ad imporre; non c'è salvezza per chi le accetta e le fa sue né punizione per chi ne dubita, perché esse continueranno ad essere valide in modo completamente indifferente.

Ognuno può apertamente e direttamente mettere in discussione ogni singola teoria, formulandone di nuove: è sufficiente poterne dimostrare la validità e mettere altri (dubitanti o meno) in condizione di fare altrettanto in modo del tutto indipendente. Questa è esattamente libertà.

Probabilmente l'intento di McEwan era quello di puntare l'indice contro lo scientismo oltranzista, quel metodo militante (che recentemente sembra aver contagiato anche una parte del mondo non credente), che trasforma ciò che per natura è avulso da dispute ideologiche in una nuova religione, e che soprattutto tende a rimarcare confini ed innalzare muri dove è del tutto inutile.

Si tratta di estremismi, di forme fatte della stessa sostanza di cui sono fatti tutti gli estremismi, compresi quelli religiosi, sicuramente.

Ma in nome della scienza non si è mai ucciso, né mai nessuno è stato incriminato, privato dei propri diritti civili o in ogni caso perseguitato, fosse anche da un piccolo mucchio di fanatici...

No, sir McEwan: lasciamo fuori la scienza dalla disputa.

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