Fenomeno in voga da anni, immerso e riemerso a più riprese nel mare delle questioni politico-sociali degli ultimi decenni, il tema della presenza dei simboli e delle tradizioni religiose nelle istituzioni civili del nostro Paese ricorre in questi giorni con rinnovato fervore, stante la drammatica situazione attuale di contrapposizione (forzata) tra mondi, pensieri e sensi religiosi diversi. Un fenomeno particolarmente interessante da osservare, perché è una delle espressioni più dirette dell'ipocrita e sempre populistico senso civico dei cittadini italiani.
Già perché, una volta in più, va capito che l'opportunità di mettere o meno il crocifisso nelle scuole, di fare il presepe negli uffici comunali o statuette di madonnine e surrogati vari in quelli pubblici, che sia durante le festività comandate o meno, non è solo un mero strumento di contrapposizione ideologica impugnato dalla politica. O forse lo è esattamente, se consideriamo "politica" l'umore civico e sociale dei cittadini, il loro modo di intendere le modalità di governo del Paese: ormai chiunque dotato di un minimo di pensiero critico potrebbe rendersi conto, infatti, dell'uso strumentale fatto dai rappresentanti per ottenere il consenso dei rappresentati dei temi che, a questo scopo, possono più muovere voti.
E cosa c'è di meglio di ciò che tocca la "pancia", il sentimento più viscerale, meno ponderato, del popolo, per ottenere favore? Cosa c'è di meglio che scoprire la carta del sentimento religioso per accaparrarsi il consenso? Perché non importano gli articoli 7 e 8 della Costituzione, che sanciscono chiaramente la laicità dello stato e l'uguaglianza di tutte le religioni di fronte ad esso; non importa quanto palesato da tutti gli ultimi censimenti, secondo cui più della metà (il 52%, per la precisione) di coloro che si sono definiti "credenti" si sono anche definiti "non praticanti" (qualunque cosa esso significhi); in Italia - ma non solo - la "tradizione" sembra essere più importante di ogni vero sentimento religioso, e guai a toccare la tradizione! Specie se questa è toccata a causa di chi viene per "rubarci il lavoro", di chi "vive a nostre spese, mentre ci sono famiglie italiane che non arrivano a fine mese", di chi "ci sta invadendo". Eccola, infatti, la politica a mettere insieme i due temi, così da avere maggior presa: "Rifiutano il crocefisso ma al lavoro prendono volentieri i soldi in più della festività pagata!", geniale ed efficace per il popolino che abbocca, l'immagine chiara dell'immigrato che ruba il tuo lavoro, prende i soldi che lo stato dispone per la tua tradizione e poi si lamenta della stessa. Oppure: "Sono nostri ospiti e dovrebbero essere loro ad adattarsi a noi, non il contrario!", sempreverde immagine del padrone di casa che deve chinarsi ai voleri, ai bisogni ed alle usanze degli ospiti tiranni.
Diventa assai curioso, dunque, notare come certi temi sono molto cari anche a chi usa bestemmie come virgole e non entra in chiesa da una vita, da chi usa falsi permessi malattia per assentarsi dal lavoro, da chi storce il naso se chi fornisce loro ospitalità è omosessuale dichiarato e bacia pubblicamente il proprio compagno. D'altronde è un po' come quando la feroce difesa della famiglia passa dalle mani di chi ha due mogli e vari figli sparsi all'attivo.
D'altronde è l'Italia, bellezza, il becero che avanza.
Buona vita.
Già perché, una volta in più, va capito che l'opportunità di mettere o meno il crocifisso nelle scuole, di fare il presepe negli uffici comunali o statuette di madonnine e surrogati vari in quelli pubblici, che sia durante le festività comandate o meno, non è solo un mero strumento di contrapposizione ideologica impugnato dalla politica. O forse lo è esattamente, se consideriamo "politica" l'umore civico e sociale dei cittadini, il loro modo di intendere le modalità di governo del Paese: ormai chiunque dotato di un minimo di pensiero critico potrebbe rendersi conto, infatti, dell'uso strumentale fatto dai rappresentanti per ottenere il consenso dei rappresentati dei temi che, a questo scopo, possono più muovere voti.
E cosa c'è di meglio di ciò che tocca la "pancia", il sentimento più viscerale, meno ponderato, del popolo, per ottenere favore? Cosa c'è di meglio che scoprire la carta del sentimento religioso per accaparrarsi il consenso? Perché non importano gli articoli 7 e 8 della Costituzione, che sanciscono chiaramente la laicità dello stato e l'uguaglianza di tutte le religioni di fronte ad esso; non importa quanto palesato da tutti gli ultimi censimenti, secondo cui più della metà (il 52%, per la precisione) di coloro che si sono definiti "credenti" si sono anche definiti "non praticanti" (qualunque cosa esso significhi); in Italia - ma non solo - la "tradizione" sembra essere più importante di ogni vero sentimento religioso, e guai a toccare la tradizione! Specie se questa è toccata a causa di chi viene per "rubarci il lavoro", di chi "vive a nostre spese, mentre ci sono famiglie italiane che non arrivano a fine mese", di chi "ci sta invadendo". Eccola, infatti, la politica a mettere insieme i due temi, così da avere maggior presa: "Rifiutano il crocefisso ma al lavoro prendono volentieri i soldi in più della festività pagata!", geniale ed efficace per il popolino che abbocca, l'immagine chiara dell'immigrato che ruba il tuo lavoro, prende i soldi che lo stato dispone per la tua tradizione e poi si lamenta della stessa. Oppure: "Sono nostri ospiti e dovrebbero essere loro ad adattarsi a noi, non il contrario!", sempreverde immagine del padrone di casa che deve chinarsi ai voleri, ai bisogni ed alle usanze degli ospiti tiranni.
Diventa assai curioso, dunque, notare come certi temi sono molto cari anche a chi usa bestemmie come virgole e non entra in chiesa da una vita, da chi usa falsi permessi malattia per assentarsi dal lavoro, da chi storce il naso se chi fornisce loro ospitalità è omosessuale dichiarato e bacia pubblicamente il proprio compagno. D'altronde è un po' come quando la feroce difesa della famiglia passa dalle mani di chi ha due mogli e vari figli sparsi all'attivo.
D'altronde è l'Italia, bellezza, il becero che avanza.
Buona vita.
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