Dittatura social?

L'immagine de L'Espresso censurata su Facebook
Leggo un articolo su L'Espresso in cui si denuncia la censura subita da Facebook su una loro foto (quella che vedete di fianco), disquisendo dell'enorme potere in mano ai "Super-stati digitali" in cui "i principi democratici sono sottomessi alle policy private aziendali", specie se si tiene in considerazione la quasi necessità che oggi molte figure professionali (nonchè quasi tutte le aziende) hanno di usufruire di quegli spazi di comunicazione.
L'autore dell'articolo, Alessandro Gilioli - superando il mero giudizio dei principi di censura delle immagine da parte dei social network, che vengono applicati per un senso nudo e non, magari, per auspici di morte e insulti -  invita inoltre a sfatare il mito dell'onnipotenza delle aziende social, sia per il motivo di cui sopra (la necessaria fruibilità degli spazi comunicativi sociali), sia perchè nel suo giudizio, pur essendo spazi virtualmente privati, non possono essere concepiti come proprietari. In sostanza, non possono fare ciò che vogliono.

Dal mio modestissimo punto di vista, possono. Eccome se possono...
Possono perchè l'accettazione di quelle policies private sopra citate è, nè più nè meno, la firma di un contratto che firmiamo nel momento in cui attiviamo un account: vuoi scrivere dei cazzi tuoi su questo spazio? Vuoi mostrare al mondo quando sei bravo a fotografare i tuoi risultati in cucina? Vuoi stracciare le gonadi al resto della popolazione con video di gattini? O magari vuoi pubblicizzare il tuo operato (intellettuale o meno che sia)? Nessun problema! Puoi farlo...purchè rispetti queste regole. Semplice. Funzionale. Ed è stato così sempre, da che esistono spazi di aggregazione, privati come pubblici.
L'esempio fatto nell'articolo per cui "anche il bar sotto casa è un'attività privata, ma se tra i tramezzini circolano i topi la collettività ha il diritto di intervenire", mi si perdoni, non è minimamente pertinente, perchè si tratta di far rispettare regole - quelle imposte dalla legge - ad un esercizio privato che, a differenza di Facebook, offre un pubblico servizio. Il social network non ricade in questa fattispecie di servizi, anche se viene vissuto oggi come "indispensabile" per la propria attività.
Facendo un controesempio potrei dire che, pur avendo affittato a caro prezzo quel cartellone 4 metri per 2 sulla Tuscolana, non posso decidere di pubblicizzare il mio sito di video porno con lo screenshot tratto da uno dei film, perchè la legge (il regolamento) me lo vieta: me la prendo contro lo stato dittatore? Qualcuno lo farebbe pure, ci mancherebbe, ma avrebbe tecnicamente torto...Un esempio parabolico, ovviamente, e affatto proporzionale alla (bellissima e significativa, per quanto mi riguarda) foto di copertina, ma credo che il senso si capisca. Inviterei l'autore a vedere quel che è stato fatto, per esempio, in un ristorante di Roma (spazio privato), dove il gestore ha deciso di vietare tout-court l'ingresso ai bambini, oltretutto...

Insomma, dura lex sed lex, c'è poco da fare. Una lex sciocca, sbagliata, bacchettona, esagerata, miope...posso essere (e sono) d'accordissimo, ma da qui a vederci una possibile deriva dittatoriale, con le possibilità che fornisce il loro stesso mezzo (la Rete, che non è solo fatta di social networking) mi sembra davvero troppo.
Senza contare che sarebbe bastato censurare un capezzolo!

Buona vita

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