Ricordi di ritorno (o "e allora le foibe?")

Cade oggi una giornata della memoria un po' particolare, nata con la sacrosanta e nobilissma intenzione di ricordare ulteriori vittime innocenti della barbarie della Seconda Guerra Mondiale. Ma non è il parto, il problema, quanto il concepimento, evidentemente pianificato da un certo orientamento politico per avere un trofeo di guerra, una cicatrice da mostrare e con cui denunciare "l'altra parte" dei crimini commessi anche su chi del tutto innocente non era.
Non che non sia tutto vero, non che sia illecito pensare di ricordare chi ha dovuto soccombere per le logiche di parte che i venti di guerra trasformano in odio e violenza estrema, non che sia sbagliato puntare il dito contro "i vincitori" (se ce ne potranno mai essere alla fine di un conflitto di proporzioni così grandi) e di quanti, fra loro, hanno avuto le mani macchiate dal sangue dei "vinti"...
Ciò che trovo altamente meschino, ridicolo e vergognoso è il farlo per revanscismo, quasi a voler riassestare il proprio inconscio senso di colpa nel sentirsi maggiormente vicini ai vinti e alle loro azioni. Lo trovo sbagliato, a maggior ragione, alla luce dei continui e attivi tentativi di rileggere la storia, di revisionare, di rivedere, di giocare su cifre e simboli per ridimensionare la portata di tutto quanto ha contribuito ad esasperare quelle tensioni e, in un certo senso, a farle esplodere davvero. E lo trovo sbagliato non già per l'interesse di proteggere l'una o l'altra parte, ma per difendere proprio la memoria di quanti hanno sofferto e sono stati barbaramente uccisi dalle opposte follie di quei giorni.

Sarebbe da ricordare ogni singolo morto ammazzato, ogni soldato catturato e ucciso, ogni civile messo in ginocchio davanti ad un plotone di esecuzione, ogni persona tolta ai propri cari ed alla propria vita terrena dalle bombe di una e l'altra parte, ogni singolo individuo finito nella trappola di quella Guerra. Ivi compresi tutti i cittadini di origine slava, assassinati per questa loro origine dalle squadracce italianissime, poi finite a loro volta nelle foibe per mano di altri slavi, e per questo premiati alla memoria da uno stato che ha ancora paura di fare i conti con la propria storia.
Sarebbe ancora più giusto smetterla di destarsi al suono della sveglia ideologica, di accettare e comprendere che no, gli italiani non sono affatto stati "brava gente", e che cercare ancora di onorare i morti sotto le rispettive bandiere non porta a nulla, men che meno a ridare dignità a quelli innocenti, di morti.

Facciamo che la memoria non sia una questione politica.

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