Le figlie, ovvero Dei valori e della cultura

Cosa voglia dire crescere un essere umano non è cosa semplice da spiegare. Non è questione di "finché non avrai un figlio non potrai mai capire", che è abbastanza scioccamente tautologico, quanto di non avere proprio idea di come impostare l'argomento, cosa prendere a chiave di volta di una struttura che non sempre è esattamente pari al progetto che ci eravamo fatti in testa.
Spiegare come crescerlo con "i giusti valori", poi, è un terreno viscido sospeso nel nulla pneumatico delle idee preconfezionate e ormai svuotate da ogni parvenza di pensiero logico o vagamente intelligente...


Cos'è un valore? Sulla base di cosa affermiamo la sua assolutezza e la sua fondamentale importanza nel definire la struttura portante di un individuo? Definire la "morale comune" non è già abbastanza privo di sostanza, essendo quel comune sentire qualcosa di relativo per definizione?
Non è certo questo il luogo per discutere di un argomento così filosoficamente profondo, e quindi senza reali sbocchi pratici come tutte le cose filosoficamente profonde...ma, davvero, perché devo fondare la crescita intellettuale delle mie due bambine su un sistema di regole, precetti e "valori", appunto, impostati su una sorta di media aritmetica?


Probabilmente sbaglieremo, mia moglie ed io, a crescerle nella convinzione che ogni opinione, ogni posizione (politica, filosofica, etica), ogni "fondamento" della propria vita culturale e sociale, ogni "regola", debba essere anzitutto ben chiara a loro stesse, ma soprattutto debba dipendere da qualcosa di realmente fondato, dal desiderio di approfondire prima di legarsi a doppio filo ad un'insegna predefinita che ne guidi le proprie vite.
Sicuramente staremo fallendo nel far apprezzare loro la cultura (intesa nel senso più generale possibile) come unico vero fondamento, come fonte di conoscenza e di pensiero. E ancora di più sbaglieremo nel convincerle - in modo così antitetico! - che anche un libro può essere "sbagliato", che la cultura è uno strumento per capire la cultura stessa, prima che il mondo, e che tutto va pesato.
Avremo errato con ragionevole certezza anche nel spiegare loro che l'autorità non può mai essere assoluta, e che - più di tutto - non è quasi mai priva di umana fallacia, e per questo può e deve essere contestata (se non avversata) quando siamo convinti di essere nel giusto, pur sempre nell'alveo del rispetto e della giusta misura compromissoria tra il voler combattere ciò che si considera "male" e l'utilizzo di strumenti adeguati che, in sostanza, non ci facciano oltrepassare il confine del torto.


Sbaglieremo, certo. Ma la soddisfazione di sentirle ragionare con il proprio cervello e di estraniarsi da ciò che la polarizzazione del pensiero suggerisce loro di pensare è enorme!

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