Vado a scuola (di Pascal Plisson, 2013)

La più recente inflazione del termine buonismo, oltre a sustanziare in modo del tutto errato un atteggiamento totalmente diverso nelle forme e negli scopi, ha il grave difetto di distogliere una più accorta attenzione verso quegli atteggiamenti redentivi ormai diventati endemici nel Nord e nell'Occidente del Mondo, in quella parte del pianeta, cioè, resasi creatrice, ammaliatrice e al tempo stessa schiava di quel Capitale che invece continua a nutrirsi delle energie della parte opposta.
Concentrata a concentrare, impegnata con tutte le forze a dimenticare l'essenza transeunte dei propri beni, questa massa di benestanti (di cui facciamo parte, gioco forza) si affanna a dimenticare i mali che produce e le correlate disequità, approcciando alle problematiche come in un fantasioso mondo disneyano in cui, in fondo al tunnel, tutto è bene ciò che finisce bene.
Vado a Scuola, in tal senso, non esce affatto da questo seminato: troppo romanzato per essere un documentario, troppo vivido per essere un film, la pellicola di Pascal Plisson rende ben poca giustizia al dramma di quella parte di mondo più indifesa tra gli indifesi, andando a colorare di vana speranza il futuro di questi bambini privati del più elementare dei diritti, quello di istruirsi. In un fin troppo arzigogolato arrocco borghese, il regista si impegna a cancellare dall'orizzonte ogni causa, arrivando a ripulire frettolosamente il tutto dai più evidenti effetti collaterali nonchè dalle difficoltà ben più penose a cui, specie le femmine, sono costrette. Tutto è bene ciò che finisce bene, appunto, poco importa che il futuro di questi ragazzi gli verrà strappato ben presto dalle mani da un'ingordigia che probabilmente ancora ignorano...

Il fine ultimo, sia chiaro, è più che ammirevole, considerate anche le attività che l'omonima associazione organizza in nome del diritto allo studio, ma anche solo pensando al messaggio centrale del solo film. Ma il rischio, a mio modo di vedere (condiviso con tante iniziative similari, dedicate pur sempre allo stesso pubblico...), è quello di smussare i contorni di un problema aspro e fottutamente troppo importante per essere pensato in termini di alla fine è andata bene!
Tralasciando la presenza delle scene più evidentemente recitate, è forse solo con la crudezza di una ragazza che, in quanto tale, viene privata del diritto di studiare che si può pensare di svegliare anche gli animi più pigri, è mostrando in immagine viva il reale effetto del più alto tasso di abbandono mondiale nell'Africa subsahariana che si può dare voce alla coscienza più sopita, è dipingendo le difficoltà sociali ed economiche che ogni famiglia deve affrontare per mandare un figlio a scuola in certe zone del mondo che si possono far capire i danni di una non equa distribuzione delle risorse.

Insomma, Bambi era un pur sempre un cartone piacevole, ma non è di amore per fiorellini e farfalline che è fatta la vita di un cerbiatto...

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