Prendo spunto dal più recente oggetto di controversia socio-politica che sembra aver occupato ogni spazio Social: quello dei tortellini al pollo.
Tralasciamo ogni commento sullo stato di salute della tribuna politica, perchè sarebbe fin troppo scontato cadere in facili semplificazioni, probabilmente più populistiche e qualunquistiche delle discussioni originarie. Soffermiamoci invece sul valore intrinseco della polemica, o meglio sul senso profondo della querelle sul rispetto delle tradizioni. Meglio ancora, mettiamo in piedi uno scisma, una bella eresia di quelle che un tempo santaromanachiesa avrebbe incenerito alla luce dei roghi in piazza: cominciamo a rendere accettabile, di tanto in tanto e senza tanti rimorsi, una secolarizzazione della Santa Tradizione, quel sano processo catartico della bestemmia contro la Beata...
La Tradizione va conservata, più che difesa ad ogni costo, va valorizzata, come un centro storico con le vestigia di ciò che siamo stati: ergerla a vessillo di identità contro altre identità, contro presunte contaminazioni coatte, oltre ad essere un esercizio sostanzialmente inutile sotto molteplici punti di vista (non fosse altro per l'assoluta e storicamente accertata ineluttabilità delle contaminazioni reali, basti pensare a quanta tradizione araba ha influenzato quella successiva siciliana, per dirne una), è una sciocchezza che rischia di fare più male che bene alla Tradizione stessa, ingessandola e rendendola un mausoleo polveroso e non più interessante.
Accettare di provare un'Amatriciana con speck e asiago non è un delitto: non è e non vuole essere una vera e tradizionale Amatriciana, ma è una variante, un gioco, un esercizio che vale la pena assaggiare. Se avessimo ragionato con gli stessi schemi, nessuno avrebbe mai provato a fare musica nuova, l'arte sarebbe rimasta ferma alla forma rupestre, la poesia sarebbe rimasta sclerotizzata in una forma invariabile da millenni.
Ogni tanto un sasso nello stagno ci vuole, magari ne esce fuori qualcosa di buono e nuovo.
Viva le tradizioni.
Ma intanto andiamo avanti.
Tralasciamo ogni commento sullo stato di salute della tribuna politica, perchè sarebbe fin troppo scontato cadere in facili semplificazioni, probabilmente più populistiche e qualunquistiche delle discussioni originarie. Soffermiamoci invece sul valore intrinseco della polemica, o meglio sul senso profondo della querelle sul rispetto delle tradizioni. Meglio ancora, mettiamo in piedi uno scisma, una bella eresia di quelle che un tempo santaromanachiesa avrebbe incenerito alla luce dei roghi in piazza: cominciamo a rendere accettabile, di tanto in tanto e senza tanti rimorsi, una secolarizzazione della Santa Tradizione, quel sano processo catartico della bestemmia contro la Beata...
La Tradizione va conservata, più che difesa ad ogni costo, va valorizzata, come un centro storico con le vestigia di ciò che siamo stati: ergerla a vessillo di identità contro altre identità, contro presunte contaminazioni coatte, oltre ad essere un esercizio sostanzialmente inutile sotto molteplici punti di vista (non fosse altro per l'assoluta e storicamente accertata ineluttabilità delle contaminazioni reali, basti pensare a quanta tradizione araba ha influenzato quella successiva siciliana, per dirne una), è una sciocchezza che rischia di fare più male che bene alla Tradizione stessa, ingessandola e rendendola un mausoleo polveroso e non più interessante.
Accettare di provare un'Amatriciana con speck e asiago non è un delitto: non è e non vuole essere una vera e tradizionale Amatriciana, ma è una variante, un gioco, un esercizio che vale la pena assaggiare. Se avessimo ragionato con gli stessi schemi, nessuno avrebbe mai provato a fare musica nuova, l'arte sarebbe rimasta ferma alla forma rupestre, la poesia sarebbe rimasta sclerotizzata in una forma invariabile da millenni.
Ogni tanto un sasso nello stagno ci vuole, magari ne esce fuori qualcosa di buono e nuovo.
Viva le tradizioni.
Ma intanto andiamo avanti.
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