Chi sta peggio

Non ho mai sopportato la morale del "ritieniti fortunato: c'è chi sta peggio di te", perchè è un evidente cortocircuito difficilmente eliminabile: c'è sempre qualcuno che sta peggio, considerati tutti i punti di vista, e ricordarcelo non migliora certo la nostra condizione o quella di chi è sotto di noi nella scala delle sfighe. Ho sempre avuto il sospetto che fosse un retaggio di morale cattolica per cui sentirsi in colpa anche quando avremmo ben ragione di recriminare, ma poi mi sembra di capire che altrove non sia tanto diverso (penso al calvinismo, per dirne uno).

Al di là di ogni ragionamento sul senso e sull'origine di questa visione del mondo - che, per certi versi, è anche abbastanza comoda -, ciò che me la rende fortemente invisa è la sua applicazione pratica nella vita di tutti i giorni, una leva usata come clava contro ogni testa alzata oltre l'orizzonte preimposto. Perchè quello è lo scopo, in fondo: farvi convinti che non state poi messi così male, che avete poco di cui lamentarvi, in realtà, e, anzi, sottintendendo proprio che forse non state facendo abbastanza.

Se ci pensate bene, è un coltellino svizzero fenomenale, che può essere utilizzato in mille modi! Metti, ad esempio, che con accorte politiche riesci a precarizzare il lavoro fino a rendere quella condizione quasi normale, quando smantellerai anche le tutele di chi il lavoro ce l'aveva più stabile puoi sempre dirgli che c'è chi sta peggio di loro...e a loro volta, a quelli che con la precarietà dovranno fare i conti potrai sempre dire che c'è chi il lavoro non ce l'ha proprio, visto che nel frattempo hai reso possibile la macelleria sociale degli esuberi facili.

Non è male, no?


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