Faccio parte di quella specie di tribù che svolge un mestiere (grosso modo) scelto, cercato e trovato al termine di un percorso di studi selezionato specificamente a questo scopo, o quasi. Sono un "fortunato", insomma, uno che agli occhi di molti si alza con uno spirito diverso mattina dopo mattina.
Non voglio fare drammi né voglio spiegare l'ovvio specificando che non è così (non sempre, almeno), chè i rodimenti di culo ce li abbiamo anche noi "fortunati", chè la routine giornaliera riesce ad ammazzare anche i più passionevoli rapporti sessuali, figuriamoci quelli lavorativi. Chè, insomma, non è mai tutto oro ciò che luccica, né tantomeno è inossidabile. Anzi...
Ma il vero problema è quando questa convinzione arriva a far parte della formazione stessa dei futuri professionisti, quando, cioè, la mentalità di base (nella mia facoltà si parlava di forma mentis...siamo lì) di ogni specializzando è orientata al "questo lavoro si fa per passione, non per soldi". Un fatalismo professionale celato da vocazione che nulla ha a che vedere con il concetto stesso di lavoro.
Non saprei dire se ci hanno convinto di ciò o se è una forma di suggestione, e capisco perfettamente (l'ho detto che faccio parte dei fortunati) l'entusiasmo delle prime volte e le sue conseguenze, ma non può e non deve funzionare così.
In nome di questo abbiamo firmato ogni cartaccia contrattuale tra collaborazioni, progetti, formazioni e apprendistati, abbiamo subito i tirocini obbligatori a tempo pieno e portafogli vuoto, abbiamo dovuto imparare a far finta di essere liberi professionisti con l'apertura di partite IVA che gridano vendetta, e a pensare ai mille euro al mese come a una chimera accettando tutto quel che viene, "che intanto fa curriculum", per non parlare del tempo inderminato, ormai svuotato di ogni stabilità dallo smantellamento delle tutele un tempo considerate granitiche. Siamo arrivati persino a farci "pagare in visibilità" e a considerare normale che un'istituzione possa bandire concorsi per progetti a titolo gratuito.
Forse è ora di invertire un po' il punto di vista, di farlo tornare in ranghi normali: abbiamo investito nella nostra formazione, ci siamo spesi anima e corpo per quel miraggio che da fuori vedevamo così brillante, ci siamo sacrificati spinti da quella passione...ora è il momento di incassare.
Volete il nostro servizio con quel sovrappiù che solo una persona realmente appassionata saprebbe dare? Volete sfruttare l'ambizione e il desiderio di stare in quel campo e farsi valere in ciò che per anni abbiamo sognato? Bene, allora lo dovete pagare di più!
Siamo artigiani della nostra professione, gli ultimi romantici di un mondo piegato alla normalizzazione del tutto: finché dura, finché non ci faranno passare anche quell'afflato, vi conviene coccolarci.
Menomale che è venerdì...
Non voglio fare drammi né voglio spiegare l'ovvio specificando che non è così (non sempre, almeno), chè i rodimenti di culo ce li abbiamo anche noi "fortunati", chè la routine giornaliera riesce ad ammazzare anche i più passionevoli rapporti sessuali, figuriamoci quelli lavorativi. Chè, insomma, non è mai tutto oro ciò che luccica, né tantomeno è inossidabile. Anzi...
Ma il vero problema è quando questa convinzione arriva a far parte della formazione stessa dei futuri professionisti, quando, cioè, la mentalità di base (nella mia facoltà si parlava di forma mentis...siamo lì) di ogni specializzando è orientata al "questo lavoro si fa per passione, non per soldi". Un fatalismo professionale celato da vocazione che nulla ha a che vedere con il concetto stesso di lavoro.
Non saprei dire se ci hanno convinto di ciò o se è una forma di suggestione, e capisco perfettamente (l'ho detto che faccio parte dei fortunati) l'entusiasmo delle prime volte e le sue conseguenze, ma non può e non deve funzionare così.
In nome di questo abbiamo firmato ogni cartaccia contrattuale tra collaborazioni, progetti, formazioni e apprendistati, abbiamo subito i tirocini obbligatori a tempo pieno e portafogli vuoto, abbiamo dovuto imparare a far finta di essere liberi professionisti con l'apertura di partite IVA che gridano vendetta, e a pensare ai mille euro al mese come a una chimera accettando tutto quel che viene, "che intanto fa curriculum", per non parlare del tempo inderminato, ormai svuotato di ogni stabilità dallo smantellamento delle tutele un tempo considerate granitiche. Siamo arrivati persino a farci "pagare in visibilità" e a considerare normale che un'istituzione possa bandire concorsi per progetti a titolo gratuito.
Forse è ora di invertire un po' il punto di vista, di farlo tornare in ranghi normali: abbiamo investito nella nostra formazione, ci siamo spesi anima e corpo per quel miraggio che da fuori vedevamo così brillante, ci siamo sacrificati spinti da quella passione...ora è il momento di incassare.
Volete il nostro servizio con quel sovrappiù che solo una persona realmente appassionata saprebbe dare? Volete sfruttare l'ambizione e il desiderio di stare in quel campo e farsi valere in ciò che per anni abbiamo sognato? Bene, allora lo dovete pagare di più!
Siamo artigiani della nostra professione, gli ultimi romantici di un mondo piegato alla normalizzazione del tutto: finché dura, finché non ci faranno passare anche quell'afflato, vi conviene coccolarci.
Menomale che è venerdì...
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