Pausa pranzo

Prescindiamo da ogni più sensata considerazione sulla necessità di ridurre ulteriormente l'orario di lavoro, e supponiamo per un attimo che - nonostante tutto - gli attuali monte ore lavorativi siano accettabili in un contesto equilibrato tra lavoro e vita privata, tralasciando quei distinguo che, in tal senso, vengono posti a condizione al contorno a seconda che si abbia o meno una famiglia, che si abbiano o meno dei figli, e, addirittura (esperienza personale..) che si sia o meno praticanti religiosi.

Al netto di tutto questo, si diceva, mi sembra comunque presente un palese problema di gestione del tempo lavorativo che tende spesso a straripare dai bordi della decenza, in barba a qualunque tentativo di mostrare interesse alla qualità della vita dei lavoratori (avete presente quelle giornate dedicate, in varia forma, alle famiglie dei lavoratori in cui si cerca di convincerli che per l'azienda è importantissimo saperli/averli felici, e che invece servono solo per "familiarizzare" l'ambiente di lavoro e l'Azienda? Ecco, quella roba lì...).
Si potrebbe parlare della distribuzione delle ore, della flessibilità che è sempre e solo unilaterale, della gestione del tempo straordinario incoerente con quella dei ritardi, della ormai fisiologica tendenza delle dirigenze a considerare poco produttivo chi, non avendone obbligo alcuno, opta per una più ridotta presenza nei locali aziendali...

Eppure sarebbe sufficiente vedere l'esempio della pausa pranzo: fondamentale, garantita, obbligatoria e divenuta, la maggior parte delle volte, ennesimo strumento di prevaricazione. Anche solo l'imposizione di una durata specifica, che magari vada oltre le reali esigenze del lavoratore, rende impossibile gestire il proprio tempo sul posto di lavoro: esempio, un'ora di pausa imposta significa che, anche se mangiassi un panino e mi facessi bastare quel quarto d'ora di riposo, non potrei uscire affatto tre quarti d'ora prima, perchè in automatico mi sarebbe detratta un'intera ora di pausa...
Un modo, dicono molti, per evitare che qualche "furbetto del cartellino" (espressione orrida, ma almeno ci capiamo...) timbri cinque minuti per goderne cinquanta e lavorare meno...anche corretto, se non fosse che ancora più spesso il problema è opposto, con richiesta di lavorare nel tempo previsto per la pausa - qualcuno ha detto "riunione alle 13.00"? - che verrà comunque detratto, che costringerà il lavoratore ad uscire al canonico orario senza sconti e senza vedersi riconosciuto (per legge) quello che è stato a tutti gli effetti uno straordinario.

Perchè non cominciare da qui, allora? Perchè non iniziare a pensare a forme di vera e propria flessibilità dell'orario, che non siano semplicemente la concessione di una tolleranza sull'orario di ingresso? Perchè non pensare davvero alla qualità della vita dei lavoratori, permettendo ciò che l'attuale modello produttivo permette, ovvero di non guardare più alla mera presenza?

Perchè, mi rispondo, è molto più utile convicerci che questa è la condizione normale, non più che siamo "parte di una famiglia" ma che l'Azienda è entrata nella tua famiglia e non intende uscirne, che la vita passa dalla frequentazione fisica di un luogo che, giorno dopo giorno, deve toglierci dalla testa ogni velleità di vivere normalmente fuori, ma solo di correre a consumare e ricominciare da capo.

Menomale che è venerdì...

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