Profumo di serenità

Ci tornano alla mente immagini che ci hanno sconvolto, in modo positivo o negativo, ne sogniamo varianti o rielaborazioni personali.

Ci commuoviamo riascoltando quel motivetto o quella canzone che associamo a ricordi piacevoli, e ci viene quasi naturale creare una colonna sonora ai nostri momenti da fissare nella memoria.

A cui associamo immediatamente fotogrammi significativi

Siamo in grado di collegare un particolare sapore alla sua origine con estrema facilità, caratteristica talmente innata da guidare reazioni di disgusto e difesa dal cibo non commestibile, funzione primaria di una macchina naturale in continua evoluzione.

A quei sapori alleghiamo fotografie ben precise di cosa stiamo mangiando, come in un ricettario mentale.

Lo stesso tatto ci suggerisce forme e materiali specifici di oggetti che conosciamo bene, come quando frughiamo gli spicci nelle tasche e scorgiamo al volo la moneta di quel dato taglio.

E ne vediamo l'immagine stampata in testa immediatamente.

L'immaginario si chiama così per un motivo ben preciso, perchè ci restituisce sempre immagini. Siamo praticamente dipendenti dalla vista e dalle sensazioni visive, perché con gli occhi assaggiamo più di tutto la vita, perché con essi riusciamo ad arrivare dove con gli altri sensi non possiamo ancora andare. Per questo fotografiamo mentalmente ogni singolo ricordo, catalogandoli in una serie più facile da far riemergere. Per questo chi perde la vista acuisce immediatamente l'udito, in particolare, ma gli altri sensi in generale, il primo come vice campione dei nostri sensori a lungo raggio.

Poi arriva quell'odore. Quel profumo che vi rapisce, che vi porta lontano in un posto che sentite familiare ma a cui non riuscite a dare forma alcuna. Non perché non vi suggerisca nulla di particolare, ma perché non c'è bisogno di dare forma a qualcosa che va oltre l'essenza fisica.
Una quinta dimensione che sapete essere vostra e solo vostra, che ordina al cervello di sparare maremoti di serotonina e vi catapulta nel tepore di un ricordo così bello e profondo da coinvolgervi fin nello spirito, ovunque esso sia.

Dice che si chiama "memoria olfattiva", che Proust ne scrisse a lungo (tanto a lungo), che è una delle cose più belle e misteriose del nostro cervello.

Io dico che l'odore dei panni stessi al sole mi fa semplicemente tornare sereno, mi insegna a tornare bambino di nuovo, al sicuro, sa di bel tempo e balconi assolati, di mia madre col ferro da stiro in mano, di gare a chi assiste meglio alla piega delle lenzuola.
Quell'essenza profumata mi riporta all'innamoramento iniziale, a quei vortici giovanili che ti travolongo, che ti fanno sentire vivo come nessuno al mondo, a quella smania di esserci, di fare, di dire.
Così come l'odore del glicine rapisce il mio cervello e mi scaglia in tempi perduti, quando le primavere erano primavere e andavano godute, quando sui maglioni potevi metterci la data di scadenza, pronti ad essere scagliati a mo' di palo su qualche prato adibito a stadio. Quando le estati le amavo, e non c'era l'apatia di dover lavorare quando il sole ti urla di tuffarti, che l'acqua è calda...

Già, questa "memoria olfattiva" è una delle cose più domenicali che possano esserci.

Buona domenica, allora...

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