Come invecchia un gamer

Sono della generazione che ha visto nascere l'Era Informatica, che per prima ha guardato ai computer non come a totem di nuove divinità in grado di leggerti la mente ma come a opportunità, a meravigliosi oggetti da studiare e plasmare sotto le proprie mani. Sono della generazione che ha fantasticato forse più di tutte le altre su futuri cyberpunk, sul progredire di tecnologie che ci avrebbero portato là dove nessuna precedente invenzione umana ci aveva mai portato. 

E che si è strafatta di videogiochi come un tossico.

Ecco, questa dipendenza la gran parte di noi - o almeno quelli che se la sono vissuta più intensamente - se la porta ancora dietro, e non c'è verso né voglia di disintossicarsi, così ci si ritrova nell'intorno dei primi anta coi capelli che ingrigiscono, le bollette da pagare, i figli da accompagnare a scuola...e la stessa voglia di sindrome del tunnel carpale ad accompagnarci inesorabilmente.

Quanti di noi, dicevo, hanno creato una voce di spesa dedicata ai videogames nel proprio bilancio familiare, da adulti responsabili e consapevoli, si sono dovuti adattare al progresso dei motori grafici e di gioco, all'evoluzione straordinaria dell'intelligenza artificiale, alle meccaniche sempre più complesse, nonché all'inevitabile rallentamento dei riflessi su cui, da ragazzini, ci vantavamo esageratamente...ma questa è un'altra storia...

Tutto questo ha in un certo modo stravolto - oltre che le nostre abitudini - un mondo che era nostro e che forse non ha mai smesso di esserlo, a giudicare da certe dinamiche. Mi spiego meglio: come tutti noi tossici di vecchia data mi sono dovuto adattare allo slittamento verso il multiplayer, ormai protagonista delle diverse modalità di gioco, e io il multiplayer non l'ho mai particolarmente digerito, per ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare qui e che capirei soltanto io, facendo la figura del vecchio brontolone o, peggio ancora, del nabbo incapace che vuole giustificare la sua incapace nabbaggine. Alla fine, dunque, ho fatto i conti con il nuovo che avanza e mi sono fatto piacere la sfida online con altri umani, anche perché, mi dicevo, vuoi non divertirti a condividere la stessa esperienza ludica con altri malati di mente come te?

Ecco, il problema è il fatto che gli "altri malati di mente come te" non sono tutti esattamente come te (ovviamente, e menomale), ma soprattutto non tutti hanno la forma mentis di una generazione cresciuta a pane e insert coin.

Ti ritrovi così in arene virtuali zeppe di ragazzini che vanno a trecento all'ora solo perché lo hanno visto fare ai pro; di compagni di squadra che ti lasciano a scannarti con gli altri mentre loro guadagnano la posizione più protetta e nascosta possibile dalla pugna; di cacciatori di teste che amano tantissimo infliggere dolore al tuo personaggio da distanze siderali, pur non guadagnando mezzo vantaggio nell'economia del gioco se non quello di rompere la tua, di economia di gioco. Ne potrei raccontare a decine di storie dell'orrore, di sessioni andate a farsi benedire, di senso del gioco che viene stravolto da dinamiche ormai consolidate e ripetute meccanicamente da tutti i partecipanti, tanto che a volte viene quasi il dubbio di trovarsi di fronte la più scriptata delle AI, di cheat usate per dopare inutili statistiche al quale si tiene più dei propri affetti...Non dico che in un FPS di guerra - ad esempio - pretenda movimenti perfetti da Army Field Manual,  ma almeno evitate per favore di giustificare inutili e assurde manovre "perché almeno faccio la kill", perché - è proprio questo il punto - non è quello il senso del gioco: se la missione è vai da A a B e prendi C evitando di farti ammazzare e tu, invece, ti nascondi da qualche parte nel tragitto tra A e B solo per far fuori quanti più nemici possibili...non ti rendi davvero conto che stai giocando a un altro gioco e che stai solo rompendo le palle a chi, invece, vorrebbe godersela? 

Per questo (e per tanti altri motivi), dico, che forse questo mondo non ha mai smesso di essere nostro: senza voler sembrare un vecchio che grida alle nubi e iniziare con la tiritera del "quando ero giovane io", la frenesia dell'instant gaming, delle battle royale tutti contro tutti, del caos disorientante che diventa firma stessa del gameplay, l'esperienza di gioco che diventa competizione, anche quando non lo è per davvero, anche quando non c'è nulla in palio, così come l'abitudine alle app tutto incluso e alla comoda affidabilità del gioco via consolle, non può che portarti a questo.

Impareremo a confrontarci anche con questo, ma non ci toglierete mai l'idea che nella parola videogioco c'è pur sempre il gioco, e il gioco è principalmente divertimento. E forse, a vedervi giocare così, non ci si diverte. 

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