Seguivo Michele Serra da un po', specie nelle sue riflessioni su quotidiani e riviste, apprezzandolo moltissimo per qualità di contenuti e della forma degli stessi; e conoscevo la sua veste di autore e scrittore umoristico/satirico, grazie alle perle rubate da Cuore o agli altri scritti ritrovati sulla Smemoranda di scolastica memoria.
Chi ha letto il libro prima di me mi ha dunque ancor più invogliato a leggerlo facendo leva proprio su questo aspetto dell'attività autorale di Serra: l'umorismo. Ma divorate le poco più di cento pagine del libro, mi sono reso conto che ciò che avevo appena letto era molto più che un approccio umoristico al problema che affrontava...erano le vere e proprie cronache di una guerra durissima, e in fondo, alla fine del percorso, dolcissima al ricordo.
Serra affronta, infatti, il rapporto con il figlio quasi-maggiorenne, e quasi ti rende agevole l'ascolto dello stridore di due generazioni, di due vissuti diversi (per quantità sicuramente, per qualità sarebbe da vedere meglio). Stridore, perchè non sembra esserci collisione tra i due mondi, ma un infinito e logorante avvicinarsi, strusciarsi, inseguirsi.
O almeno non c'è nell'esperienza dello scrittore, testimone di una sua personale giovinezza in cui ha agito - o ha pensato di farlo - per sovvertire lo status-quo, contestando l'autorità, il potere in quanto tale, e che mal digerisce (di naturale conseguenza) il ruolo patriarcale, col risultato di ritrovarsi di fronte una sua diretta emanazione diversissima e totalmente priva di schemi che lo possano rendere comprensibile e/o trattabile dal genitore. E - checchè ne dicano alcuni detrattori, concentratissimi ad additare le convinzioni politiche come principali responsabili della situazione - lo stesso Serra denuncia la sua "sconfitta", il suo non aver saputo imbrigliare quell'energia per farne quel che lui immagina essere la figura figliare.
Ma è forse dal confronto con la sua precedente vita di figlio che probabilmente il rapporto ne esce sanato, o (come più ovvio) l'autore si rende conto che nulla è mai stato rotto, e che le generazioni si sono sempre trovate a fronteggiarsi.
Una guerra, si diceva, la stessa Grande Guerra Finale che Serra stesso ci descrive stupendamente (comprerei il libro ora, se uscisse davvero), una Guerra da cui lui ne uscirebbe come un traditore della sua generazione, che vede nei Giovani la normalissima continuazione della vita: non sono i Giovani ad essere "alieni", sono i Vecchi a non rendersi conto che gli alieni, ormai, sono loro.
Basta poco per rendersene conto, e una gita in montagna potrebbe valere più di centomila trattati.
Chi ha letto il libro prima di me mi ha dunque ancor più invogliato a leggerlo facendo leva proprio su questo aspetto dell'attività autorale di Serra: l'umorismo. Ma divorate le poco più di cento pagine del libro, mi sono reso conto che ciò che avevo appena letto era molto più che un approccio umoristico al problema che affrontava...erano le vere e proprie cronache di una guerra durissima, e in fondo, alla fine del percorso, dolcissima al ricordo.
Serra affronta, infatti, il rapporto con il figlio quasi-maggiorenne, e quasi ti rende agevole l'ascolto dello stridore di due generazioni, di due vissuti diversi (per quantità sicuramente, per qualità sarebbe da vedere meglio). Stridore, perchè non sembra esserci collisione tra i due mondi, ma un infinito e logorante avvicinarsi, strusciarsi, inseguirsi.
O almeno non c'è nell'esperienza dello scrittore, testimone di una sua personale giovinezza in cui ha agito - o ha pensato di farlo - per sovvertire lo status-quo, contestando l'autorità, il potere in quanto tale, e che mal digerisce (di naturale conseguenza) il ruolo patriarcale, col risultato di ritrovarsi di fronte una sua diretta emanazione diversissima e totalmente priva di schemi che lo possano rendere comprensibile e/o trattabile dal genitore. E - checchè ne dicano alcuni detrattori, concentratissimi ad additare le convinzioni politiche come principali responsabili della situazione - lo stesso Serra denuncia la sua "sconfitta", il suo non aver saputo imbrigliare quell'energia per farne quel che lui immagina essere la figura figliare.
Ma è forse dal confronto con la sua precedente vita di figlio che probabilmente il rapporto ne esce sanato, o (come più ovvio) l'autore si rende conto che nulla è mai stato rotto, e che le generazioni si sono sempre trovate a fronteggiarsi.
Una guerra, si diceva, la stessa Grande Guerra Finale che Serra stesso ci descrive stupendamente (comprerei il libro ora, se uscisse davvero), una Guerra da cui lui ne uscirebbe come un traditore della sua generazione, che vede nei Giovani la normalissima continuazione della vita: non sono i Giovani ad essere "alieni", sono i Vecchi a non rendersi conto che gli alieni, ormai, sono loro.
Basta poco per rendersene conto, e una gita in montagna potrebbe valere più di centomila trattati.
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