Scuola e lavoro

Lo scorso 11 Ottobre un fiume di studenti (non ho voglia di partecipare alla guerra dei numeri, che lascia il tempo che trova in questo contesto) ha manifestato contro l'ultima di una lunga serie di riforme del sistema scolastico, puntando particolarmente il dito contro l'adozione del sistema di alternanza scuola-lavoro voluto per introdurre "un metodo didattico e di apprendimento sintonizzato con le esigenze del mondo esterno che chiama in causa anche gli adulti, nel loro ruolo di tutor interni (docenti) e tutor esterni (referenti della realtà ospitante) [...] per sviluppare in sinergia esperienze coerenti alle attitudini e alle passioni di ogni ragazza e di ogni ragazzo" (fonte. MIUR).


L'idea è quella, secondo il ministero, di proporre percorsi lavorativi ai ragazzi delle superiori, anticipando l'ingresso nel mondo del lavoro, quantomeno dal punto di vista metodologico: si alterna la teoria imparata a scuola con la pratica dell'attività lavorativa di tutti i giorni.
Obiettivo sensato quanto opinabile, ma che comunque - va ammesso - contiene di per sé tutte le caratteristiche di un percorso innovativo, di una rinfrescata al sistema di istruzione media superiore italiano (che da troppo tempo continua a campare di una rendita da tempo esaurita...), affiancando alla preparazione didattica una prima infarinatura "pratica".
Se non fosse che siamo in un paese totalmente disabituato a programmare in modo sensato, vedi lauree triennali, per rimanere in tema di istruzione...Così una buona idea diventa una assoluta, indiscutibile, mostruosa cagata, e a pagare sono le persone che in futuro dovrebbero rappresentare il nocciolo produttivo e direttivo del Paese: gli studenti.


L'alternanza scuola-lavoro potrebbe essere un buon investimento, a patto che si pongano le necessarie condizioni per non farlo diventare (come invece è accaduto) un doposcuola obbligatorio con cui fornire bassa manovalanza alle aziende e preparare gli studenti al precariato.


1) Coerenza con il percorso di studi
Quale "sinergia di esperienze coerenti alle attitudini di ogni ragazza e ragazzo" può sviluppare un'attività lavorativa presso una libreria generica per un ragazzo dello Scientifico? In che modo il monitoraggio dello stato di salute delle acque pubbliche può essere un "metodo didattico e di apprendimento" utile per una ragazza del linguistico?
Le esperienze sopra descritte mi sono realmente state indicate da ragazzi che le hanno vissute, e non hanno alcuna valenza didattica né tantomeno lavorativa. Qualcuno fa notare come la cosa sia perfettamente in linea con la "vita reale" dopo il diploma, in cui molto difficilmente si riesce ad ottenere un impiego perfettamente in linea con i propri sogni o con il percorso didattico/accademico effettuato: si tratta di un'osservazione particolarmente insulsa, perché parliamo di un percorso di apprendimento che nulla ha a che vedere con il "praticantato" o la "gavetta" (sempre dal MIUR: "L’alternanza è parte integrante della metodologia didattica e del Piano Triennale dell’Offerta Formativa, mentre il tirocinio è un semplice strumento formativo [...] si distingue anche dall’apprendistato in quanto si configura come progetto formativo e non come rapporto di lavoro [...] e che pertanto ha l'obbligo assoluto di essere in linea con ciò che si è sviluppato in linea teorica nel corso di studi")
Le convenzioni con le aziende dovrebbero, pertanto, essere approvate dalle strutture ministeriali periferiche, valutando i piani formativi e la loro attinenza ai percorsi scolastici specifici: cosa si intende fare in tal senso? In che modo la stipula di convenzioni con catene di fast food rientra in qualsivoglia Piano Triennale dell'Offerta Formativa?


2) Reversibilità dei "costi" personali
Uno dei punti più controversi riguarda la retribuzione delle ore lavorate: lo slogan più presente in piazza ieri l'altro era proprio "il lavoro si paga". Fermo restando che di lavoro non deve trattarsi (vedi punto precedente), in che modo si intende ripagare il tempo passato in alternanza?
È totalmente deleterio erodere ore di didattica a favore dell'alternanza. Ma anche l'utilizzo del tempo personale degli studenti è francamente intollerabile, a fronte del mancato rimborso di qualsivoglia tipo di costo: ritengo personalmente obbligatorio introdurre un rimborso delle spese legate quantomeno al trasporto ed ai pasti degli studenti, ma non potendo conoscere tutte le convenzioni in essere, risulta quantomeno necessario un monitoraggio diretto da parte ministeriale delle attività previste e della ripartizione delle ore dedicate. In molte attività, infatti, gli studenti sono stati di fatto inseriti in turnazioni senza avere le adeguate coperture dei costi intrapresi per potervi partecipare, e ciò non può accadere. Le forme di rimborso possono essere elargite in modi diversi, quali la somministrazione di buoni pasto o di borse di studio ad hoc cofinanziate dalle aziende partecipanti, le quali (vale la pena ricordarlo) hanno anche dei vantaggi finanziari dalla stipula delle convenzioni.


3) Volontarietà di adesione
La partecipazione all'alternanza è attualmente un obbligo per gli studenti del triennio conclusivo: perché? Perché, a fronte del sistema ormai collaudato dei Crediti Formativi, non si è pensato ad utilizzare gli stessi quale "premio" per studenti volontariamente partecipanti e si è puntato ad una costrizione spesso deludente?
In tal senso avrei ritenuto molto più formativo (sotto molti punti di vista) e socialmente utile l'obbligo del Servizio Civile, che avrebbe superato ognuno dei punti che stiamo elencando qui. Ma in assenza di questo, sarebbe stato molto più consono dare una scelta agli studenti, che specialmente negli istituti liceali "storici" (Classico e Scientifico) troverebbero molta difficoltà a definire vie di formazione pratica al lavoro, considerato lo scopo ultimo di tali istituti (il passaggio ai percorsi accademici).


Ritengo questi tre punti fondamentali, ma ce ne sarebbero molti altri di cui discutere: è certo, in ogni caso, che rendere l'esperienza davvero formativa, volontaria e non onerosa sia il punto di partenza per far sì che il lavoro degli studenti non venga sfruttato a mero fine produttivo, che, anzi, si diano agli stessi tutti gli strumenti per sapersi formare una coscienza civile da futuro lavoratore, e schivare così precarietà e sfruttamento.


Dobbiamo formare dei cittadini, prima ancora che dei lavoratori. Dobbiamo far sì che gli errori del passato non siano più ripetibili: così si gioca solo a costruire la larga base dove fondare i futuri profitti di pochi.

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