Servizio alla clientela

Viviamo da quella parte del mondo che un tempo qualcuno definì "libero", in contrapposizione a quel blocco di paesi che liberi non apparivano agli occhi occidentali. Una contrapposizione che, allora, nasceva dal sostanziale e pieno godimento dei diritti fondamentali di una parte (la nostra), rispetto allo stato repressivo dell'altra, quanto meno per ciò che concerneva le libertà politiche e di espressione.
Uno stato di libertà di fatto in cui, come è comprensibile, il sistema economico capitalistico e le sue derive sociali hanno fatto la parte del leone, entrando prima, mescolandosi poi, tra i principali elementi di costruzione delle politiche nazionali, diventando quindi l'elemento principe, se si pensa che, ad oggi, le manovre economiche e le leggi di bilancio sono gli atti più importanti e discriminanti di ogni esecutivo democratico. Sistema, quello capitalistico, che non è affatto gratis come viene pubblicizzato, se è vero (come lo è) che tende a centrifugare risorse e di conseguenza capitali nelle mani di pochissimi a danno di moltissimi, i quali dipenderanno sempre più dalla buona salute di quei pochissimi, salute che vengono spinti a curare (o, almeno, a non cagionare) mediante "sacrifici necessari", così di moda durante le periodiche ed inevitabilmente prevedibili crisi.
In un quadro così evidente (e così ancora poco chiaro a tanti), si è trasformato anche tutto il mondo dei servizi al cittadino, diventando pari ad un customer care in cui il cittadino, coi suoi diritti e le sue necessità, diviene un cliente al pari dell'avventore di un megastore. Il che non sarebbe nemmeno un problema, se funzionasse sempre (sebbene la convinzione che le pratiche private siano migliori a prescindere sia abbastanza ridicola). Il problema è quando questa tendenza trasforma il cittadino stesso...

Già, perchè la commistione dell'essere cittadino ed essere consumatore genera mostri democratici, specie quando questi vengono costantemente ed artatamente evocati dalle ultime reincarnazioni del genere populista.
Quel che preoccupa, per i danni specifici che può comportare al tessuto socio-politico ed alla tenuta dei patti democratici stessi tra cittadini ed istituzioni, è la mescola instabile tra diritti civili e diritti del consumatore: il cliente ha sempre ragione, e il cittadino, sentendosi finanziatore di servizi prima ancora che ovvio fruitore, si pone nella posizione pago-pretendo dalla quale confonde tutto e pretende prestazioni su livelli di cui non immagina la complessità organizzativa, o di cui non intuisce le difficoltà legali.
Il cittadino-consumatore pretende di poter spiegare alle presidi delle scuole frequentate dai figli come si gestisce una scuola, come si redigono orari e come si assegnano le classi, pretende di spiegare allo sportellista di un servizio anagrafico come velocizzare le pratiche per produrre le carte d'identità, all'autista dell'autobus come fornire un buon servizio di trasporto adatto alle esigenze di tutti...come se fossero tutti dei commessi di ipermercato, messi dietro ad uno sportello reclami per ricevere i suggerimenti e le contestazioni dei clienti.

Da lì a pretendere di capirne sui vaccini più di un medico, di saper navigare tra le leggi meglio di un avvocato o di saper gestire i propri oneri fiscali meglio di un commercialista, o, molto più banalmente, di arrivare a pensare che il solo fatto di pagare le tasse significhi partecipare ad una specie di cooperativa che elargisce stipendi a chiunque sia dipendente pubblico, da cui quindi pretendere una qualche forma di obbedienza padronale, è davvero un attimo.
Arriva da lì tutta la retorica del "politico dipendente", i cui aedi sono ora al governo, ma di cui tanti clienti sembrano non essersi accorti...

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