Non serve arrischiare un trattato di pedagogia per capire quanto importante siano le politiche di istruzione in un moderno paese democratico, importanza evidenziata, d'altronde, dalla morbosa attenzione che ogni schieramento alternatosi negli ultimi trent'anni al governo ha riversato nella scuola e nell'università, ognuno pretendendo di avere la giusta ricetta per formare i nuovi cittadini. Una cura fuori controllo, al dire il vero, tanto da produrre nel tempo - con tutta la serie di Riforme della Scuola ogni volta introdotte sulle note di fanfaresche presentazioni al pubblico - mostri snaturati dal contesto sociale del Paese stesso, perlopiù per una poco intelligente attività di importazione di modelli che nulla hanno a che fare con il fondamento "tradizionale" dell'educazione nazionale.
Cerchiamo di diradare ogni nebbia di dubbio in tal senso: non può e, a mio modesto avviso, non deve esistere un modello perfetto, non si deve cadere mai nell'autarchica tentazione di aver trovato l'unico modo giusto di fare le cose, nel campo dell'istruzione in particolare, avendo a che fare direttamente con la formazione di un cittadino prima ancora che di un attivo membro del sistema produttivo, intenendo quest'ultimo nel senso più ampio e civile del termine, non soltanto nella sua accezione capitalistica occidentale (sempre che se ne possano definre adeguatamente i confini, nel nostro contesto...). Pertanto, per dirla completamente, che vi siano periodici mutamenti, riforme e cambi di rotta è non solo normale ma anche altamente auspicabile, nell'ovvio contesto del miglioramento, del rinnovamento sulla base delle nuove e più accreditate dottrine in ambito sociopsicopedagogico e, più "crudamente", dell'adattamento funzionale del percorso scolastico e accademico alla moderna realtà del lavoro succesivo ed effluente agli stessi percorsi. Il punto, infatti, non è sul cambiamento, ma sulla volontà evidente di voler apporre una firma politica al modello formativo di costruzione della classe dirigente in primis e di quella civile quasi come conseguenza, con l'aggravante di volerlo fare limitandosi a raffazzonare il più delle volte delle pallide imitazioni di adattamento di soluzioni vincenti altrove.
In particolare il modello anglosassone sembra esserci particolarmente a cuore, essendo il pozzo da cui più si attinge in tante materie ed in quella scolastica/universitaria soprattutto. Tralasciando le specifiche riforme ed i commenti ad esse, ed ignorando per una buona volta il mito italiano di quella che è stata definita "la migliore scuola del mondo" o comunque "la più invidiata" (ed evitando, quindi, di chiedersi perchè tanta perfezione non ha conosciuto imitazioni nel resto del mondo, come invece è accaduto da noi con i modelli stranieri...), vorrei soffermarmi sull'organizzazione generale della scuola secondaria, che in Italia è riuscita ad essere oggettivamente e per molto tempo un modello formativo avulso dall'insussistenza di un ideale limbo tra il ciclo dell'obbligo da una parte e il percorso di specializzazione, accademico o professionale che fosse.
La visione di un ciclo scolastico "preparatorio", suddiviso in preparazione al percorso universitario (licei) e a quello lavorativo (istituti tecnici e professionali), ha avuto i suoi indubbi meriti per molto tempo, cedendo di funzionalità al fluidificarsi della società e, contestualmente, delle offerte lavorative, finendo di rischiare la desuetudine di fronte a nuovi percorsi di preparazione ed ingresso nel mondo del lavoro (vedasi anche le sole lauree triennali, su cui sarebbe da scrivere un post a parte). Riformare ed adattare il modello al contesto reale non significa necessariamente creare spezzatini e confusioni d'identità a vario titolo e di vario tipo, ma ristrutturare il necessario mantenendo una struttura consolidata ed efficace.
Andiamo al sodo.
Licei
L'obiettivo è quello di preparare gli studenti ad un successivo percorso universitario, la cui offerta è però cambiata in tanti modi ed è certo ben più articolata di una netta suddivisione tra materie "scientifiche" e materie "classiche". Non abbastanza, però (secondo la mia opinione), da dover pensare alla creazione di improbabili percorsi liceali, magari già affrontati in altre istituzioni (vedi Liceo Musicale, ad esempio) o intesi come specializzazione di licei già esistenti (vedi i vari "tipi" di liceo scientifico).
Tenuta la necessità di avere un Liceo Classico, per tutti i successivi percorsi umanistici, ed un Liceo Scientifico, per i percorsi a carattere scientifico e tecnologico, integrato (non diramato in alternative specialistiche, come oggi) con materie che recentemente sono divenute parte integrante di quei due panorami, quali l'informatica e le scienze motorie e dello sport, e tenuto conto della necessità di non trasformare un percorso propedeutico in un nuovo corso alla professione (di studente, nello specifico), si potrebbe pensare di riformare il Liceo Linguistico per essere parte specialistica (questa sì) del Liceo delle Scienze Umane; di abolire o integrare come specializzazione (anche qui) del Liceo Musicale nel Liceo Artistico; di generare, infine, l'unico "ponte" tra scuola e università oggi mancante, quello con i percorsi giuridici: si potrebbe pensare ad un Liceo delle Scienze Giuridiche, che, sulla base della formazione più affine a quella Classica, approfondisca le tematiche del diritto e delle scienze sociali e socioeconomiche, preparando alle varie Giurisprudenza, Legge, Scienze Politiche. Se, infatti, l'accesso alle scienze mediche e fisologiche può essere successivo ad un percorso Scientifico canonico, così come l'accesso alle materie economiche, a cui tra l'altro è possibile arrivare dal percorso peritale (ex Istituto Tecnico Commerciale), non esiste alcun effettivo collegamento tra un percorso universitario giuridico e la formazione liceale.
Istituti Tecnici
Per quanto in questo campo possa andare un po' meglio, anche qui l'eccessiva frammentazione e specializzazione ha colpito in maniera inesorabile. Per quanto, infatti, potesse essere prevedibile e (da un certo punto di vista) auspicabile il dettagliamento di tanti percorsi un tempo inclusi nell'Istituto Tecnico Industriale, pensare di essere arrivati a differenziare anche i percorsi peritali delle professioni economiche non era francamente pensabile.
Va detto che l'obiettivo con cui gli istituti tecnici sono stati pensati fu quello di generare un percorso minimo di preparazione per tutta una serie di figure intermedie e precedenti il livello di specializzazione accademica, permettendo di normare tutte le posizioni professionali che, in quegli anni, si stavano affermando (cosa che, nel riformare il percorso universitario nell'attuale "3+2" non è stato fatto...ma, come già detto, ne dovremmo parlare a parte). Non parliamo dei corsi professionali, quindi - dove pure una specializzazione eccessiva può essere inefficace alla preparazione e, volendo, alle stesse necessità del mercato. Parliamo di istituti di formazione di una classe di potenziali lavoratori già specializzati, non solo preparati, che non deve necessariamente riflettere la singola tipologia di lavoro: a cosa serve, dunque, un istituto di istruzione tecnica per la Moda? Quale posizione professionale realisticamente sostenibile può essere mai tagliata per un perito dei Trasporti? Quale per i periti della Comunicazione? E per quelli del Turismo?
Non mi faccio queste domande retoriche per disprezzo dei professionisti di quei rispettivi settori, o dei ragazzi che magari hanno scelto quei percorsi perchè speranzosi nelle possibilità a loro descritte, sia chiaro. Solo che si ha l'impressione, nella migliore delle ipotesi, dell'ennesima speranza del legislatore di lanciare il sasso nello stagno per fare surf: già con le lauree triennali (sì, lo so, è la terza volta che dico che merita un articolo a sè, ma il confronto continua ad essere inevitabile ogni volta!) si è sperato di generare un mercato del lavoro costruendo prima i lavoratori del mercato stesso, generando sfiducia in uno strumento che (in un modo o nell'altro) allo stato costa tenere in piedi, e che abbandona inevitabilmente una fetta di laureati ad essere schiacciati da una parte dagli specialistici/vecchio ordinamento, dall'altra dai periti/diplomati, non bastasse il precariato "semplice"...
La peggiore delle ipotesi, in generale, e non è detto che non sia possibile, è la malafede, l'aver voluto generare precariato istituzionale, di aver voluto saturare e desaturare ad hoc ogni singola nicchia di mercato, guidando le necessità a seconda delle convenienze economiche e (dunque) politiche. All'imbecillità non voglio credere, per quanto sia tentatrice: non posso pensare che davvero si sperasse di raggiungere in tal modo i risulati sperati, di voler creare posti di lavoro da una parte e generare una maggior quota di laureati...davvero, lo vedrebbe anche un bambino che in tutti i modi tentati finora, compresi quelli attuali, sarebbe davvero inconcepibile!
Cerchiamo di diradare ogni nebbia di dubbio in tal senso: non può e, a mio modesto avviso, non deve esistere un modello perfetto, non si deve cadere mai nell'autarchica tentazione di aver trovato l'unico modo giusto di fare le cose, nel campo dell'istruzione in particolare, avendo a che fare direttamente con la formazione di un cittadino prima ancora che di un attivo membro del sistema produttivo, intenendo quest'ultimo nel senso più ampio e civile del termine, non soltanto nella sua accezione capitalistica occidentale (sempre che se ne possano definre adeguatamente i confini, nel nostro contesto...). Pertanto, per dirla completamente, che vi siano periodici mutamenti, riforme e cambi di rotta è non solo normale ma anche altamente auspicabile, nell'ovvio contesto del miglioramento, del rinnovamento sulla base delle nuove e più accreditate dottrine in ambito sociopsicopedagogico e, più "crudamente", dell'adattamento funzionale del percorso scolastico e accademico alla moderna realtà del lavoro succesivo ed effluente agli stessi percorsi. Il punto, infatti, non è sul cambiamento, ma sulla volontà evidente di voler apporre una firma politica al modello formativo di costruzione della classe dirigente in primis e di quella civile quasi come conseguenza, con l'aggravante di volerlo fare limitandosi a raffazzonare il più delle volte delle pallide imitazioni di adattamento di soluzioni vincenti altrove.
In particolare il modello anglosassone sembra esserci particolarmente a cuore, essendo il pozzo da cui più si attinge in tante materie ed in quella scolastica/universitaria soprattutto. Tralasciando le specifiche riforme ed i commenti ad esse, ed ignorando per una buona volta il mito italiano di quella che è stata definita "la migliore scuola del mondo" o comunque "la più invidiata" (ed evitando, quindi, di chiedersi perchè tanta perfezione non ha conosciuto imitazioni nel resto del mondo, come invece è accaduto da noi con i modelli stranieri...), vorrei soffermarmi sull'organizzazione generale della scuola secondaria, che in Italia è riuscita ad essere oggettivamente e per molto tempo un modello formativo avulso dall'insussistenza di un ideale limbo tra il ciclo dell'obbligo da una parte e il percorso di specializzazione, accademico o professionale che fosse.
La visione di un ciclo scolastico "preparatorio", suddiviso in preparazione al percorso universitario (licei) e a quello lavorativo (istituti tecnici e professionali), ha avuto i suoi indubbi meriti per molto tempo, cedendo di funzionalità al fluidificarsi della società e, contestualmente, delle offerte lavorative, finendo di rischiare la desuetudine di fronte a nuovi percorsi di preparazione ed ingresso nel mondo del lavoro (vedasi anche le sole lauree triennali, su cui sarebbe da scrivere un post a parte). Riformare ed adattare il modello al contesto reale non significa necessariamente creare spezzatini e confusioni d'identità a vario titolo e di vario tipo, ma ristrutturare il necessario mantenendo una struttura consolidata ed efficace.
Andiamo al sodo.
Licei
L'obiettivo è quello di preparare gli studenti ad un successivo percorso universitario, la cui offerta è però cambiata in tanti modi ed è certo ben più articolata di una netta suddivisione tra materie "scientifiche" e materie "classiche". Non abbastanza, però (secondo la mia opinione), da dover pensare alla creazione di improbabili percorsi liceali, magari già affrontati in altre istituzioni (vedi Liceo Musicale, ad esempio) o intesi come specializzazione di licei già esistenti (vedi i vari "tipi" di liceo scientifico).
Tenuta la necessità di avere un Liceo Classico, per tutti i successivi percorsi umanistici, ed un Liceo Scientifico, per i percorsi a carattere scientifico e tecnologico, integrato (non diramato in alternative specialistiche, come oggi) con materie che recentemente sono divenute parte integrante di quei due panorami, quali l'informatica e le scienze motorie e dello sport, e tenuto conto della necessità di non trasformare un percorso propedeutico in un nuovo corso alla professione (di studente, nello specifico), si potrebbe pensare di riformare il Liceo Linguistico per essere parte specialistica (questa sì) del Liceo delle Scienze Umane; di abolire o integrare come specializzazione (anche qui) del Liceo Musicale nel Liceo Artistico; di generare, infine, l'unico "ponte" tra scuola e università oggi mancante, quello con i percorsi giuridici: si potrebbe pensare ad un Liceo delle Scienze Giuridiche, che, sulla base della formazione più affine a quella Classica, approfondisca le tematiche del diritto e delle scienze sociali e socioeconomiche, preparando alle varie Giurisprudenza, Legge, Scienze Politiche. Se, infatti, l'accesso alle scienze mediche e fisologiche può essere successivo ad un percorso Scientifico canonico, così come l'accesso alle materie economiche, a cui tra l'altro è possibile arrivare dal percorso peritale (ex Istituto Tecnico Commerciale), non esiste alcun effettivo collegamento tra un percorso universitario giuridico e la formazione liceale.
Istituti Tecnici
Per quanto in questo campo possa andare un po' meglio, anche qui l'eccessiva frammentazione e specializzazione ha colpito in maniera inesorabile. Per quanto, infatti, potesse essere prevedibile e (da un certo punto di vista) auspicabile il dettagliamento di tanti percorsi un tempo inclusi nell'Istituto Tecnico Industriale, pensare di essere arrivati a differenziare anche i percorsi peritali delle professioni economiche non era francamente pensabile.
Va detto che l'obiettivo con cui gli istituti tecnici sono stati pensati fu quello di generare un percorso minimo di preparazione per tutta una serie di figure intermedie e precedenti il livello di specializzazione accademica, permettendo di normare tutte le posizioni professionali che, in quegli anni, si stavano affermando (cosa che, nel riformare il percorso universitario nell'attuale "3+2" non è stato fatto...ma, come già detto, ne dovremmo parlare a parte). Non parliamo dei corsi professionali, quindi - dove pure una specializzazione eccessiva può essere inefficace alla preparazione e, volendo, alle stesse necessità del mercato. Parliamo di istituti di formazione di una classe di potenziali lavoratori già specializzati, non solo preparati, che non deve necessariamente riflettere la singola tipologia di lavoro: a cosa serve, dunque, un istituto di istruzione tecnica per la Moda? Quale posizione professionale realisticamente sostenibile può essere mai tagliata per un perito dei Trasporti? Quale per i periti della Comunicazione? E per quelli del Turismo?
Non mi faccio queste domande retoriche per disprezzo dei professionisti di quei rispettivi settori, o dei ragazzi che magari hanno scelto quei percorsi perchè speranzosi nelle possibilità a loro descritte, sia chiaro. Solo che si ha l'impressione, nella migliore delle ipotesi, dell'ennesima speranza del legislatore di lanciare il sasso nello stagno per fare surf: già con le lauree triennali (sì, lo so, è la terza volta che dico che merita un articolo a sè, ma il confronto continua ad essere inevitabile ogni volta!) si è sperato di generare un mercato del lavoro costruendo prima i lavoratori del mercato stesso, generando sfiducia in uno strumento che (in un modo o nell'altro) allo stato costa tenere in piedi, e che abbandona inevitabilmente una fetta di laureati ad essere schiacciati da una parte dagli specialistici/vecchio ordinamento, dall'altra dai periti/diplomati, non bastasse il precariato "semplice"...
La peggiore delle ipotesi, in generale, e non è detto che non sia possibile, è la malafede, l'aver voluto generare precariato istituzionale, di aver voluto saturare e desaturare ad hoc ogni singola nicchia di mercato, guidando le necessità a seconda delle convenienze economiche e (dunque) politiche. All'imbecillità non voglio credere, per quanto sia tentatrice: non posso pensare che davvero si sperasse di raggiungere in tal modo i risulati sperati, di voler creare posti di lavoro da una parte e generare una maggior quota di laureati...davvero, lo vedrebbe anche un bambino che in tutti i modi tentati finora, compresi quelli attuali, sarebbe davvero inconcepibile!
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