Le piace suonare la chitarra, ascoltare la musica in cuffia, adora il basket, in cui mette tutto l'impegno possibile, compatibilmente con la scuola, che pure le piace se non ci fosse la matematica.
Ma la Juve è un'altra cosa, è una passione, un amore quasi. Simile a quello per Alessandro, il ragazzo con cui si frequenta da ben tre mesi, ma più viscerale, più irrazionale.
È una malattia che le attaccato il papà, anche lui juventino da quando ancora viveva in Marocco: le ha raccontato più volte di quando seguì, quasi quaranta anni fa ormai, i genitori nel viaggio che li portò in Italia e di come il suo unico pensiero fosse poter finalmente vedere i suoi amati bianconeri allo stadio. Figurarsi come fu contento di sapere che sua madre aveva trovato alloggio e lavoro proprio a Torino, tramite degli zii che vivevano già lì.
Ma forse, per Aisha, la cosa è ancora più sentita, perché lei a Torino c'è nata! Dicono che di juventini torinesi ce ne siano pochi, perché la Juve è "la squadra d'Italia" per eccellenza...ma vuoi mettere la soddisfazione e l'onore di nascere proprio dove ha casa?
Aisha legge sui social che frequenta tutte le polemiche e i sospetti che sempre seguono la sua squadra, e ci sta male: perché, ad esempio, tutto questo odio e questi commenti rabbiosi per la storia di quel campione sudamericano che si sta cercando di far diventare italiano? Lo hanno fatto e lo fanno tantissime squadre, d'altronde, basta anche solo un nonno italiano e il gioco è fatto...ma se lo fa la Juventus allora tutti contro! Che poi, Aisha lo sa bene perché li legge i giornali sportivi, le pratiche erano state avviate già da un anno, e la moglie è già cittadina italiana per le sue origini friulane (pare una bisnonna da qualche parte nell'albero genealogico)...quindi perché polemizzare.
Il padre la guarda, Aisha, con l'orgoglio che solo un genitore sa esprimere.
Ma con quella punta di tristezza che può dare la consapevolezza di non poterla sollevare dalla loro condizione di non fortunati: ormai ha smesso pure di provare a spiegarle la complessità della vita, le difficoltà che inevitabilmente incontrano il diverso e l'umile.
Di spiegarle che un calciatore è meglio di lei, invece, non ne ha proprio voglia: prima o poi, spera, arriverà qualcuno ad elencarle tutti i motivi per cui sua figlia, nata in Italia, cresciuta in Italia, educata in Italia, che non sa mezza parola della lingua di suo padre e di sua madre, ma che, invece, saprebbe scrivere un libro in dialetto torinese, non merita la cittadinanza italiana, mentre un calciatore sì.
Perchè per lei la cittadinanza non può essere un biglietto al Luna Park, ma invece per chi al Luna Park ci lavora diventa più facile.
Perché, cioè, lo ius circensi è molto più importante dello ius soli.
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