Nella prima parte abbiamo raccontato un po' di storia del tempo pieno scolastico nel nostro paese, sia per quel che riguarda le proposte iniziali che per ciò che invece sono state le vere applicazioni.
Con la seconda parte abbiamo dato qualche numero, contestualizzando la situazione e dando riferimenti statistici circa la scelta del tempo pieno.
Abbiamo quindi capito che, al fine di avere una scuola nuova, al passo coi tempi e affrancata dai modelli usciti pari pari dal ventennio fascista, qualcuno arrivò a proporre un tempo scolastico rinnovato, volto all'inclusione di tutti e al rinnovamento dell'esperienza scolastica in senso "totalizzante": non più solo compiti e lezioni, ma esperienze sportive, laboratori, approfondimenti e attività comunitarie, un modello di scuola "sociale" ben diversa da ogni precedente fossilizzazione cattedratica. Il tempo pieno, abbiamo visto, era funzionale a tutto ciò, ma ben presto (come tante buone idee in Italia) è divenuto la negazione stessa di queste idee, trasformando la scuola in un parcheggio full time di bambini, la stessa "fossilizzazione cattedratica" di cui sopra estesa alle otto ore giornaliere. Di fatto non è stato il tempo pieno a trasformare gli italiani, ma sono state le abitudini degli italiani (dettate dalla situazione sociale e lavorativa in via di trasformazione) a cambiare il tempo pieno: se entrambi i genitori lavorano, se l'erosione delle economie famigliari disgrega i vecchi nuclei estesi, se gentrificazioni e speculazioni immobiliari allontanano le persone, se...se...se...la scuola deve accogliere i bambini più a lungo.
Eppure i numeri non sembrano così nettamente a favore della giornata piena, per quanto l'aumento rispetto a vent'anni fa sia indubbio.
Eppure non tutti sembrano essere d'accordo con questa formula.
Allora perchè si tende a quel 40% di studenti a tempo pieno?
Forse perchè su 20 scuole nel raggio di 5 km in una città come Roma - in zona nemmeno troppo centrale - solo tre scuole offrono classi a tempo ridotto (27-30 ore), e solo una il tempo normale (24 ore). Forse perchè il costo per scegliere una di quelle opzioni è la scomodità di una scuola non vicinissima, non tanto per una questione di trasporti, quanto perchè si andranno inevitabilmente a formare gruppi di alunni che il più delle volte non saranno in grado di condividere altro che le ore scuola, provenendo da diverse aree limitrofe. Forse perchè, il più delle volte, difficilmente queste opzioni sono estese a più di una sola classe...
Ecco allora che di quella percentuale a tempo pieno, una buona parte è costretta da fattori contingenti e inevitabili, nonostante magari non ci sia la necessità di lasciare i propri figli per 40 ore settimanali nelle mani dell'istituzione scolastica, che - come vedremo nella quarta parte - si è ormai arresa al modello impiegatizio e alle 8 ore giornaliere tutte sfruttate per lezioni e attività didattiche "pure", senza più nemmeno l'ombra delle attività a corredo inizialmente previste, addirittura con enormi tagli alle lezioni musicali e artistiche, perchè "non c'è tempo".
Non c'è mai tempo.
Se otto ore vi sembran poche...
Con la seconda parte abbiamo dato qualche numero, contestualizzando la situazione e dando riferimenti statistici circa la scelta del tempo pieno.
Abbiamo quindi capito che, al fine di avere una scuola nuova, al passo coi tempi e affrancata dai modelli usciti pari pari dal ventennio fascista, qualcuno arrivò a proporre un tempo scolastico rinnovato, volto all'inclusione di tutti e al rinnovamento dell'esperienza scolastica in senso "totalizzante": non più solo compiti e lezioni, ma esperienze sportive, laboratori, approfondimenti e attività comunitarie, un modello di scuola "sociale" ben diversa da ogni precedente fossilizzazione cattedratica. Il tempo pieno, abbiamo visto, era funzionale a tutto ciò, ma ben presto (come tante buone idee in Italia) è divenuto la negazione stessa di queste idee, trasformando la scuola in un parcheggio full time di bambini, la stessa "fossilizzazione cattedratica" di cui sopra estesa alle otto ore giornaliere. Di fatto non è stato il tempo pieno a trasformare gli italiani, ma sono state le abitudini degli italiani (dettate dalla situazione sociale e lavorativa in via di trasformazione) a cambiare il tempo pieno: se entrambi i genitori lavorano, se l'erosione delle economie famigliari disgrega i vecchi nuclei estesi, se gentrificazioni e speculazioni immobiliari allontanano le persone, se...se...se...la scuola deve accogliere i bambini più a lungo.
Eppure i numeri non sembrano così nettamente a favore della giornata piena, per quanto l'aumento rispetto a vent'anni fa sia indubbio.
Eppure non tutti sembrano essere d'accordo con questa formula.
Allora perchè si tende a quel 40% di studenti a tempo pieno?
Forse perchè su 20 scuole nel raggio di 5 km in una città come Roma - in zona nemmeno troppo centrale - solo tre scuole offrono classi a tempo ridotto (27-30 ore), e solo una il tempo normale (24 ore). Forse perchè il costo per scegliere una di quelle opzioni è la scomodità di una scuola non vicinissima, non tanto per una questione di trasporti, quanto perchè si andranno inevitabilmente a formare gruppi di alunni che il più delle volte non saranno in grado di condividere altro che le ore scuola, provenendo da diverse aree limitrofe. Forse perchè, il più delle volte, difficilmente queste opzioni sono estese a più di una sola classe...
Ecco allora che di quella percentuale a tempo pieno, una buona parte è costretta da fattori contingenti e inevitabili, nonostante magari non ci sia la necessità di lasciare i propri figli per 40 ore settimanali nelle mani dell'istituzione scolastica, che - come vedremo nella quarta parte - si è ormai arresa al modello impiegatizio e alle 8 ore giornaliere tutte sfruttate per lezioni e attività didattiche "pure", senza più nemmeno l'ombra delle attività a corredo inizialmente previste, addirittura con enormi tagli alle lezioni musicali e artistiche, perchè "non c'è tempo".
Non c'è mai tempo.
Se otto ore vi sembran poche...
[FINE PARTE 3]
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